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Sull’amicizia: riflessioni di una psicoterapeuta

Il 30 luglio, ho da poco scoperto, è la “festa dell’amicizia”, di cui non sapevo nemmeno ci fosse una giornata dedicata!
L’amicizia è un tema molto spesso frequente nelle sedute di psicoterapia: le persone portano nel loro spazio i desideri, le conflittualità, le aspettative che nutrono nei confronti delle persone che ritengono (o hanno ritenuto) amiche.

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Definizione della salute, secondo l’OMS: benessere bio-psico-sociale.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una persona sta bene quando è in equilibrio da alcuni punti di vista: quello fisico (“bio”), mentale (“psico”) e sociale.
Quando sentiamo parlare di benessere fisico e di salute mentale abbiamo più o meno qualche idea in merito, ma la domanda potrebbe sorgere spontanea: cosa si intende con “benessere sociale”?

Benessere sociale

Stare bene dal punto di vista sociale significa essere in grado di costruire rapporti sani, equilibrati, che possano fungere da reciproco supporto e che mettano genuinamente in connessione le persone tra loro.
Il benessere sociale riguarda i conoscenti, gli amici, i parenti alla lontana, i parenti più prossimi.
Coltivare l’amicizia richiede tempo, pazienza, capacità di ascolto dell’altro, rispetto, sincerità, reciprocità, libertà.
Penso alla pazienza che richiede la costruzione di un’amicizia e penso al momento storico che stiamo vivendo, dove la regola vigente è “tutto e subito”: mi rendo conto dei motivi che portano oggi l’amicizia a vestire i panni di “bestia rara”.

Le origini della socialità: perché facciamo amicizia?

La corrente evoluzionista ci può illuminare sulle origini del desiderio di intessere relazioni sociali.
Per gran parte della nostra storia evolutiva, infatti, non siamo stati nativi digitali bensì esseri umani in cerca di prede (cacciatori) e dediti a pastorizia e agricoltura (pastori e agricoltori).
Durante queste ere nelle quali vivere era complesso e a volte equivaleva a sopravvivere, gli esseri umani hanno scoperto che socializzando e solidarizzando tra di loro avevano più probabilità di vivere e di far continuare a vivere il gruppo familiare, la tribù, il popolo di appartenenza.
Essere in tanti a cacciare e a difendersi da predatori feroci era un’opportunità legata alla sopravvivenza e ad evitare il rischio dell’estinzione.
Una spiegazione non molto poetica ma piuttosto realistica.

La socialità: il primo passo verso l’autonomia

Quando socializziamo, la prima volta, sperimentiamo il mondo esterno: quando il bambino viene affidato ad una tata o entra per la prima volta all’asilo nido, nuota in acque sconosciute che gli permetteranno, pian piano e sulla scorta delle esperienze vissute, di muoversi in modo più o meno curioso verso l’esterno, rispetto al nucleo di origine.

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Le prime amicizie

Le primissime amicizie che vengono a formarsi tra i banchi di scuola si ricordano con tenerezza e con il sorriso negli occhi. Sono stati i primi momenti in cui ci siamo sentiti “esposti”, insieme ai rapporti che si sono venuti a creare, via via negli anni, con maestri e professori.
Sono numerose le persone che riescono a mantenere legami con le amicizie del passato (remoto!), ma sono altrettante quelle che lamentano rotture, impallidimenti di rapporti che un tempo sembravano tanto saldi e che, ora, non lo sono più. Cosa porta alla rottura di amicizie lunghe e apparentemente consolidate?

La rottura di amicizie lunghe

Molto spesso in consulenza e in psicoterapia si parla di amicizie che non esistono più nelle vite dei nostri pazienti o anche di rapporti che iniziano a mostrare “segni di cedimento” che non è più possibile celare a se stessi: in questi casi, lo spazio clinico sembra essere il luogo migliore in cui raccontarsi senza sentirsi giudicati.
Com’è possibile che la tal persona non faccia più parte della mia cerchia amicale?
Che cosa è successo per farci allontanare?

Perché un’amicizia che sembrava infrangibile si sta irrimediabilmente incrinando?

Per provare a rispondere a questa domanda, dovremmo risalire alle origini di quella data amicizia: chiederci, in primis, su quali basi quel legame si sia formato e strutturato. Questa ritengo che sia la domanda “cardine”, a seguito della quale si possono porre altre questioni e dare alcune risposte.
Vorrei fare una breve precisazione: non sempre i rapporti definiti “amicizie” si rivelano tali, nei racconti delle persone. Questo accade non perché le persone vogliano mentire o mostrarsi per come non sono ma perché molto spesso, soprattutto oggi che viviamo e facciamo nascere relazioni in modo virtuale, rapporti di conoscenza vengono scambiati per amicizie consolidate.

Un’amicizia non nasce per caso

Le amicizie non nascono mai per caso ma sulla spinta di elementi di vicinanza o di complementarietà tra le persone – un po’ come accade anche nella formazione delle coppie – e risalire a quelle condizioni iniziali che hanno permesso di arrivare a oggi (o a ieri!) ci può far considerare se quelle condizioni ci siano ancora e se di fatto siano ancora valide per far “girare” il rapporto.
“Che peccato far terminare un’amicizia che dura da quindici anni” … sono frasi che sento spesso pronunciare dai pazienti. Dipende: dipende da alcuni fattori che però sono a mio avviso fondamentali.
Se dobbiamo far proseguire un rapporto in cui ci sentiamo sempre giudicate dall’altra persona, proviamo fastidio quando parla, spesso il disaccordo che riscontriamo ci fa soffrire … allora tanto vale dargli una decorosa fine, ricordando anche i momenti belli che, senza ombra di dubbio, ci saranno stati.
Di solito, con il trascorrere del tempo, le persone cambiano: si modifica il carattere, cioè la parte “visibile” della personalità, cambiano i modi (da più istintivi a più ponderati, si spera), la vita e le esperienze ci conducono al cambiamento, volente o nolente.

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Le persone … cambiano!

Quando le persone cambiano, può essere difficile che i rapporti proseguano indisturbati: possono esserci confronti anche molto diretti tra le persone, chiarimenti, spiegazioni ma in altri casi i vecchi amici sembrano come “viaggiare su binari paralleli” che non permettono più grandi comunanze o scambi affettivi.
C’è chi non si arrende e prova a continuare a portare avanti un rapporto “amicale” che perde carburante e pezzi ad ogni svolta stradale, c’è chi si rende conto che le rotture non sono più sanabili e che tanti aspetti dell’altra persona non ci sono più tollerabili.

Equilibri che cambiano

Mi capita spesso di constatare che in molti rapporti nati in modo asimmetrico, una nuova simmetria non sia facilmente tollerata. Provo con un esempio.
Se Cinzia e Miriana hanno da sempre fondato la loro amicizia su un rapporto in cui Cinzia accoglieva, ascoltava e consolava Miriana che, tra le due, era quella più in difficoltà e pian piano quest’ultima riesce ad effettuare una svolta nella propria vita, diventando via via una persona più sicura di se stessa e meno incline alla lamentela, è possibile che questo nuovo “sistema” non vada più bene, dal punto di vista di Cinzia, in quanto non risponde più alle sue esigenze.
In amicizia, infatti, come anche nelle coppie, ci sono dinamiche particolari che reggono l’amicizia stessa e che, venute meno, rendono il legame impraticabile.

È colpa mia? È colpa sua?

Il termine “colpa” è quello maggiormente utilizzato nelle sedute, a mio avviso, e spesso si insinua anche quando si parla di rotture amicali: le domande che balzano in testa ai pazienti ruotano attorno al tema “ho sbagliato io? Ha sbagliato lui? Avrei dovuto o potuto fare qualcosa, anche qualcos’altro, che invece non ho fatto e che avrebbe potuto dare una svolta al rapporto?”.
Bisogna ricordare che i rapporti, in quanto tali, sono sempre costruiti da due o più persone e che l’arrivo al “capolinea” è generato da una serie di incompatibilità e ingranaggi sballati che provengono da tutti gli elementi coinvolti.
Non si tratta, quindi, di “colpe”, anche perché lo spazio terapeutico o consulenziale non è un luogo kafkianamente tribunalizio dove si cercano i “colpevoli”, le “vittime” e si calcolano i risarcimenti.

Saper lasciar andare

Tra i vari insegnamenti che ho appreso durante la mia analisi personale ce n’è uno che cerco di far fruttare anche nelle psicoterapie che propongo ed è quello di provare a coltivare la capacità di “lasciar andare” le persone, accettandole per quelle che sono, sempre che le si vogliano ancora nella propria vita, senza cercare di cambiarle.
Se lo spazio per quella persona, ormai, sembra non esserci più perché non ci fa stare bene, anzi, è fonte di rabbia o di dolore, sarebbe un atteggiamento masochistico continuare a dare ossigeno a questi legami.

Parlarne in uno spazio intimo e basato sulla fiducia come può essere lo spazio psicoterapeutico può essere di grande aiuto per riflettere su se stessi e comprender cosa, realmente, cerchiamo nell’altro.

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Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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