Long-COVID: una conseguenza piuttosto frequente dell’infezione da SARS-Cov-2 (seconda parte)
Nel mio precedente articolo, prima parte di un lavoro dedicato alla sindrome del Long-COVID e reperibile a questa pagina, ho trattato questo tema in generale, elencando alcuni dei sintomi fisici maggiormente riscontrati nella popolazione.
In questo articolo, invece, mi sono focalizzata sulle conseguenze psichiche (cognitive ma non solo) che tale sindrome ha avuto.
Conseguenze sulla psiche
Abbiamo subito più o meno tutti, consapevolmente o meno, la pandemia e le sue restrizioni: ci sono però alcune persone che in seguito alla malattia, all’ospedalizzazione, all’esposizione alla malattia altrui e ai decessi che ne sono conseguiti, ne hanno patito maggiormente gli effetti e, in alcuni casi, hanno palesato alcuni disequilibri a livello psicologico che è fondamentale non trascurare.
Ecco alcuni dei problemi più frequentemente riscontrati nei casi di Long-COVID.
Disturbi d’ansia e depressivi
Entrambi questi disturbi sono i problemi psichici che affliggono maggiormente la popolazione generale. Non stupisce, quindi, che siano inclusi tra i sintomi della sindrome da Long-COVID.
Che si tratti di ansia/depressione dovuti al Long-COVID oppure no, il trattamento di questo tipo di disagio rimane lo stesso: psicoterapia unita, eventualmente, ad una farmacoterapia.
In entrambi i casi, la psicoterapia risulta essere il trattamento elettivo e, come accennato poco sopra, qualora fosse necessario, potrebbe essere suggerito anche il trattamento psicofarmacologico.
Gli psicofarmaci dovrebbero sempre essere prescritti da uno specialista psichiatra, piuttosto che da un medico di medicina generale o, ancor peggio, consigliati da un amico che “ne ha tratto giovamento”.
Una prima, fondamentale scrematura va fatta con la diagnosi di decadimento cognitivo: nei casi di demenza, ad esempio, ansia e depressione sono spesso frequenti, anche insieme, ma non sono conseguenza del Long-COVID.
È fondamentale che caregiver o medici di famiglia si accorgano in tempi rapidi di sintomi ansioso-depressivi, in modo da poter effettuare diagnosi differenziale rispetto ad altri disturbi psichici o neurologici e indirizzare i pazienti verso trattamenti personalizzati, specifici per la loro condizione.
Disturbi del sonno
In caso di sindrome da Long-COVID, circa il 25% dei pazienti ha lamentato problemi relativi al sonno. A volte può essere utile valutare se indirizzare questi individui ad un centro specializzato per le problematiche connesse con il sonno.
Tra i disturbi maggiormente rilevati ci sono: insonnia, ipersonnia, cattiva qualità del sonno. In alcuni casi sono riportati apnee notturne, disordini del ritmo sonno-veglia, sindrome delle gambe senza riposo, movimenti anormali durante il sonno.
Anche nel caso dei disturbi del sonno, è fondamentale fare diagnosi differenziale con altre patologie, come con i disturbi neurologici (ad esempio: le demenze o le encefaliti) e patologie dell’età evolutiva o di quella adulta.
Bisogna anche valutare se i pazienti assumano psicofarmaci o farmaci di altro tipo, se stiano vivendo situazioni particolarmente stressanti o abusino di sostanze (stupefacenti o farmaci).
Deficit cognitivi
A seguito di una infezione da COVID-19 possono manifestarsi deficit cognitivi di varia entità: tra i più rappresentati, soprattutto nella sindrome da Long-COVID, troviamo deficit di memoria, di attenzione, di concentrazione, riduzione nella mobilità e nella capacità di svolgere attività quotidiane.
Il sintomo più rappresentato, però, è costituito dalla cosiddetta “brain fog” o nebbia cerebrale, cioè una difficoltà nel pensare e nel concentrarsi, problema che aumenta quando si è affaticati.
Breve approfondimento: “brain fog”
La nebbia cerebrale può essere definita come la sensazione di avere “la testa vuota”, una specie di confusione mentale, smarrimento e difficoltà di concentrazione: una sensazione di spaesamento che a volte è difficile sia da spiegare che da arginare.
La “brain fog” si riscontra durante il COVID-19, durante il Long-COVID ma anche in altre patologie: morbo di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica e sclerosi multipla. Anche qui è fondamentale effettuare una diagnosi precisa, che escluda altre patologie.
Rispetto ad altri sintomi tipici del post-COVID, come l’anosmia e la disgeusia (alterazione nella capacità di distinguere i sapori), sembra che la nebbia cerebrale o “brain fog” tenda a mantenersi nel tempo e, purtroppo, anche a peggiorare.
Terapie specifiche, almeno per il momento non ne esistono: sembra che i pazienti con questo disturbo, comunque, rispondano bene all’utilizzo di farmaci antidepressivi e ansiolitici e che un percorso psicoterapeutico possa dare loro giovamento.
Per diagnosticare questo sintomo, è possibile richiedere una consulenza neuropsicologica, in seguito alla quale potrebbe essere richiesto di sottoporsi a test neuropsicologici che permettono di rilevare ed eventualmente quantificare il tipo di problema cognitivo.
DPTS e Disturbo dell’adattamento
Il disturbo post traumatico da stress (DPTS) e il disturbo dell’adattamento sono stati classificati dalla nosografia psichiatrica all’interno dei cosiddetti “disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti” (DSM V, 2013) e costituiscono sindromi scatenate in risposta a situazioni estreme, intense, complesse da affrontare (come disastri naturali, incidenti stradali, lutti improvvisi, …).
Si differenziano tra loro per l’intensità percepita di un evento che può portare, quindi, a manifestazioni diverse. Su questi disturbi ci si potrebbe soffermare lungamente, ma in questa sede preferisco essere breve.
Se opportunamente trattati, con percorsi psicoterapeutici in primis, eventualmente accompagnati da farmacoterapia, i nodi che li caratterizzano possono essere “sciolti” e la condizione di vita di chi ne soffre può decisamente migliorare.
Pandemia e psiche
Non dobbiamo sottovalutare il fatto che l’evento pandemico ha rappresentato un unicum, nel panorama mondiale dell’ultimo secolo: questo evento, con la sua grande forza e la generale sorpresa che ha destato in tutti noi, ha generato in moltissimi reazioni psicologiche multiple, facendo scatenare a volte disturbi già latenti mai manifestatisi prima, oppure provocandone di nuovi e mai sperimentati.
Aver vissuto relegati in casa, impossibilitati anche solo a fare la spesa (soprattutto durante i primi, incertissimi periodi), costretti a rimanere a volte ore intere fuori dai locali commerciali per assicurare la distanza di sicurezza e ridurre la numerosità della clientela, ha senza dubbio turbato in maniera profonda la psiche di tutti noi, in modi che sicuramente non siamo ancora riusciti a comprendere a pieno.
C’è chi sostiene di aver vissuto “il periodo più bello della sua vita”, durante i lockdown, perché poteva lavorare da casa, allenarsi due volte al giorno, seguire regimi alimentari speciali, non incontrare il prossimo, dedicare più tempo agli hobby (che non prevedessero la fuoriuscita da casa!) ma sono certa che, in fondo, lockdown e pandemia siano stati più o meno choccanti per tutti noi.
Pandemia e psicoterapia
Negli anni appena successivi alla pandemia, insieme ad alcuni colleghi psicoterapeuti ci siamo confrontati con le richieste ricevute e ci siamo accorti che le domande di sostegno psicologico dalla pandemia ad oggi non sono solo aumentate: sono letteralmente decuplicate.
La pandemia ha, da un lato, slatentizzato malessere interiori preesistenti, come già affermato, in altri casi ne ha generati di nuovi e in altri ancora, ha permesso a moltissime persone di sentirsi legittimate a “chiedere aiuto psicologico”.
La pandemia è stata un’occasione per confrontarsi con se stessi, con le proprie famiglie di origine, le scelte di vita, la direzione che le nostre esistenze hanno intrapreso, volente o nolente. Se tutto questo, oggi, può giovarci perché ci rende più forti e consapevoli delle nostre decisioni, se quanto abbiamo vissuto sulla nostra pelle ci dà l’opportunità di provare ad essere delle persone “migliori” sotto tanti punti di vista, il frutto che oggi raccogliamo può essere un valore aggiunto di cui nutrirci quotidianamente ed essere in qualche modo grati.
Questo articolo è frutto di una riflessione avvenuta a seguito di una formazione che ho realizzato tramite un corso organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità.
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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