Il valore delle piccole cose
La nostra epoca
Viviamo in un’epoca di consumismo sfrenato, tipico delle società moderne, industrializzate e massificate, nelle quali l’acquisto di beni materiali ed effimeri sembra l’unico motore in grado di animarci.
I centri commerciali, in alcuni giorni e nonostante le varie crisi, sembrano affogati di gente e in periodi di saldi avvicinarsi ad un outlet richiede coraggio, pazienza e precoci risvegli mattutini.
I nostri valori
Ai bambini si cerca di insegnare il valore dell’amicizia, dell’amore disinteressato, anche se non sempre il mondo degli adulti riesce a nascondere la compulsione negli acquisti di beni non necessari.
Come insegnano le regole più banali del marketing casereccio, l’idea di comprare un oggetto dà l’illusione che l’acquirente avrà la possibilità di cambiare vita, la speranza di trasformarsi in una persona migliore e quasi non si comprende come sia stato possibile sopravvivere senza quella cosa lì, quell’oggetto che fino al giorno prima ci era sfuggito e, magari, nemmeno sapevamo come si chiamasse.
Il valore degli oggetti
Eppure … le cose hanno un valore. Gli oggetti, nel loro esistere e sopravvivere a persone ed epoche, ci trasmettono messaggi, stimoli, impulsi dinamici che ci fanno vivere, sorridere o ricordare emozioni e sentimenti; le ‘cose care’ ci ricollegano a chi abbiamo amato nella nostra vita e ci invadono di sensazioni anche se non lo vogliamo.
E allora il bricco di ceramica – di gusto opinabile – che la cara zietta amava tenere in cucina, tra il libro di botanica e il vaso dei fiori, quel bricco che tante volte ci ha stupito per il suo aspetto così kitsch, ci siamo casualmente trovate ad aggiungerlo alla nostra collezione di bricchi domestici, anche con una discreta fierezza.
Oggi, nonostante sia un po’ agée e resti comunque di dubbio gusto, quel bricco sembra profumare di fresco e nuovo, quasi avesse un sapore … interessante.
Oggetti familiari
Mia nonna veniva dal profondo Sud: regina della cucina, protettrice della casa, custode di chiavi e padrona di ripostigli magici ai quali solo lei aveva accesso, era madre di un rito che amavo osservare.
In cucina, fuori dalla mia portata, aveva un barilotto di latta, bordeaux, quadrato, che conteneva il caffè: ogni volta, per caricare la caffettiera, doveva tirarlo giù sul tavolo, e poi rimetterlo di nuovo lassù, lontano.
Io lo osservavo con gli occhi dell’avida, iniqua predatrice.
Il barilotto aveva disegnato il volto di una donna diversa per ogni lato, quattro teste femminili tutte con colorati, morbidi capelli e un mazzetto di romantici fiorellini laterali.
Ho sempre bramato quell’oggetto proibito, quel contenitore bizzarro e retrò che mi era regolarmente vietato in quanto contenente caffè (allora inaccessibile, per me) e in quanto svolgente funzione fondamentale, almeno sul piano alimentare.
Mi fa sempre sorridere guardarlo oggi, tra le mie cose, e utilizzarlo per raccoglierci i miei oggetti: una piccola vittoria, questa, un’eredità passata attraverso le generazioni, con mio sfegatato piacere e chissà, probabilmente anche con il benevolo, divertito benestare di mia nonna Giuditta.
Un “dio delle piccole cose”
È proprio vero: negli oggetti ai quali siamo affezionati c’è qualcosa, un principio inspiegabile, un ‘dio delle piccole cose’, parafrasando Arundhati Roy, che comanda dispoticamente sui nostri affetti e gestisce le nostre decisioni: questo lo butto via, quest’altro lo regalo, questo, invece, me lo tengo.
Un dio che sa come e dove colpirci: basta una freccia scoccata e tutto assume un colore diverso.
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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