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Una concezione attuale del trauma

Una concezione attuale del trauma: come utilizzarla all’interno della cornice terapeutica

Come possiamo definire un ‘trauma’ dal punto di vista psicologico? Come classificarlo all’interno delle nostre categorie diagnostiche?

Prima dell’avvento della psicologia dinamica, gli specialisti del settore ritenevano che causa dei traumi psichici fosse una vera e propria lesione a livello cerebrale: questo danno poteva essere di tipo ereditario o generato da una sorta di ‘debolezza mentale’ del soggetto (Kalsched, 1996).

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L’avvento della psicoanalisi

In base alla prima fase della teoria freudiana (1893-1897), all’origine dell’eziopatogenesi della nevrosi isterica vi era un trauma di natura sessuale subito in età evolutiva da parte di un adulto significativo (la cosiddetta ‘teoria della seduzione’).

Nel 1898, lo stesso Sigmund Freud riformulò la propria teoria e ipotizzò che l’abuso sessuale sottostante questi casi di nevrosi isterica non fosse stato sempre realmente subito quanto, piuttosto spesso, immaginato dalle medesime pazienti (Ellenberger, 1976; Kalsched, 1996).

La fantasia/desiderio di essere sedotti da un adulto significativo servirono proprio da impalcatura per una delle principali e più celebri teorie freudiane: il complesso edipico (Freud, 1898).

Il trauma dopo Sigmund Freud

Secondo Rank (1924), il primo grande trauma con il quale ogni individuo deve fare i conti è quello della nascita.

Attualmente i maggiori teorici della disciplina ammettono che con ‘trauma’ si possono indicare sia eventi macroscopicamente traumatizzanti (ospedalizzazioni prolungate, gravi lutti familiari, come ci hanno insegnato Spitz e Bowlby, o abusi, secondo il parere di Putnam) che traumi di minore entità magari ripetuti nel tempo (il cosiddetto ‘trauma cumulativo’, Kahn, 1974).

Altri autori (van der Kolk, 1970), piuttosto che ricorrere allo specifico termine ‘trauma’ preferiscono adoperare l’espressione ‘atmosfera traumatica’.
In base alle indicazioni forniteci dalla letteratura e dalla nosografia psicologiche e psichiatriche possiamo sostenere che un trauma è una reazione di ordine psichico causata da un fattore traumatico (stressor), reazione nella quale il soggetto si sente sopraffatto da emozioni angoscianti e intollerabili (Caretti, Craparo, 2008).

In seguito a un trauma sono frequenti reazioni di fuga, disorientamento, sensazione di perdita del controllo, dissociazione.
Questi eventi traumatici possono risolversi in maniera più o meno rapida senza conseguenze: ciò dipende da diversi fattori, tra cui le caratteristiche dell’evento, la personalità dell’individuo, la sua struttura somatica, le eventuali pregresse esperienze traumatiche, l’ambiente psicosociale nel quale il soggetto è cresciuto e vive.

In altri casi, invece, i traumi possono irrigidire psicologicamente la persona la quale, a lungo andare, rischia di scivolare all’interno di un quadro francamente psicopatologico.

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Resistere all’evento traumatico

A volte, per resistere ai devastanti effetti del trauma, l’individuo (bambino o adulto) mette in atto il meccanismo difensivo della dissociazione, menzionato poco sopra, una difesa di per sé non patologica, se utilizzata in maniera adattativa: Young (1988) sostiene che la dissociazione possa essere definita ‘un attivo processo inibitorio che esclude dal campo della coscienza stimoli interni ed esterni’.

Tramite l’uso della dissociazione, l’individuo elimina temporaneamente dalla coscienza l’accadimento ansiogeno e grazie a questa sorta di ‘segregazione’ riesce a ritrovare un proprio equilibrio psichico ed esistenziale.

Naturalmente questo meccanismo ci è ben noto in ambito psicopatologico, perché se impiegata in modalità massiva e preponderante, la dissociazione può fungere da terreno fertile per l’instaurarsi di alcuni disturbi psichiatrici di notevole entità (disturbo post-traumatico da stress, disturbo acuto da stress, disturbi dissociativi, disturbo borderline di personalità e spettro dei disturbi di area-limite, …): in questi casi, che sono di oggettiva rilevanza clinica, la dissociazione viene usata in maniera costante e prevalente rispetto alle altre difese, rappresentando un vero e proprio ostacolo all’adattamento dell’individuo perché compromette la sua sfera lavorativa, sociale e la vita affettiva.

Numerosi autori concordano nel ritenere che esista una diretta correlazione tra dissociazione e trauma: Janet (1889) si era già occupato di questa tematica ed era giunto a ipotizzare che la dissociazione fosse un cattivo adattamento messo in atto per far fronte ad una situazione traumatica, non gestibile altrimenti.

Putnam e la dissociazione in età evolutiva

Nel 2001, Putnam ha pubblicato un testo di estrema importanza per i professionisti e gli operatori della salute mentale, dal titolo La dissociazione nei bambini e negli adolescenti: una prospettiva evolutiva.

In base alla visione dell’autore, che conferma quanto già teorizzato fin dai tempi della nascita della psicoanalisi, l’abuso in età infantile e in adolescenza è frequentemente causa di dissociazione: l’esposizione ad un trauma può portare a sviluppare, in epoca adulta, un quadro psicopatologico di medio-grave entità caratterizzato da un massivo – e di conseguenza, invalidante – utilizzo di questo meccanismo difensivo.

Inoltre, la genesi della rete di interazioni neuro-corticali e sottocorticali che ha inizio durante i primissimi anni di vita rischia di venire gravemente compromessa nel suo processo di formazione e integrazione (Langeland e Olff, 2008).

Quando gli stimoli esterni sono troppo gravosi da essere tollerati dal soggetto (come, ad esempio, la consapevolezza di essere stati maltrattati o abusati da un genitore), tali eventi vengono forzatamente esclusi dal campo della coscienza, ‘incistati’, parzialmente eliminati dalla psiche; tale esclusione, naturalmente, porta con sé una serie di conseguenze psicologiche non indifferenti sull’apparato psichico dell’individuo.

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Gli sforzi richiesti dalla psiche all’Io al fine di dissociare temporaneamente il ricordo di questi eventi traumatici sono costanti e costosi per l’economia mentale di chi li mette in atto.

La memoria implicita (Mancia, 2005) fa in modo che la mente del paziente mantenga l’antico ricordo del trauma, apparentemente archiviato (in modalità inconsapevole): tale traccia mnestica, perciò, continua ad agire all’insaputa dell’individuo, riproducendo schemi noti al soggetto ma decisamente psicopatologici.

La dissociazione, in definitiva, pur cercando di far rimanere in uno stato di ‘equilibrio’ il soggetto che ne fa uso, rischia di produrre una mancata elaborazione della situazione traumatica e un permanere dell’individuo in una condizione patologica: quindi, da meccanismo difensivo, la dissociazione può diventare patogenetico.

Riparare il trauma

Un cammino psicoterapeutico fondato su un’ottimale alleanza terapeutica può permettere ai soggetti che hanno subito un trauma – qualsiasi esso sia – di far emergere questo genere di esperienza e sottoporla alla necessaria, vitale elaborazione psichica, affinché l’esperienza traumatica cessi di costituire un ‘fardello psichico’ che sabota e annulla il cambiamento psichico.

Come affermato poco sopra, diversi sono gli eventi in grado di ‘traumatizzare’ un individuo: eventi macroscopicamente traumatici ma anche ‘microtraumi relazionali’, eventi, cioè, non palesemente traumatici accaduti nelle prime fasi evolutive del bambino e della sua relazione con le figure genitoriali che hanno in qualche maniera interferito con il suo sviluppo e con l’evoluzione del processo di attaccamento all’interno delle relazioni con il caregiver (Bowlby, 1999).

Questo vuol dire che un bambino può subire un evento o una serie di eventi apparentemente neutrali agli occhi del genitore o di chi si occupa di lui e viverli come traumatici, subendone le ripercussioni nel corso degli anni.

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Per eventi traumatici possiamo anche intendere trascuratezza, eccessivo egocentrismo genitoriale, mancata sintonizzazione del caregiver con i bisogni del bambino, contraddittorietà nelle cure e nella protezione dell’infante, eventi definiti da Schore (2002) ‘microtraumi relazionali precoci’, provocati da un genitore non manifestamente maltrattante ma comunque disattento e trascurante.

È anche possibile e frequente che un grave trauma vissuto dal genitore venga trasmesso al bambino, sempre in modalità inconscia, ad esempio attraverso un tipo di attaccamento disorganizzato proposto dal genitore stesso o tramite l’innesco di un errato sistema motivazionale a base innata (ad esempio, il sistema competitivo): ecco qui i casi di bambini ai quali, durante l’infanzia, i genitori possono aver indirizzato richieste inconsuete ed inappropriate (per dare un’idea, l’atteggiamento di un genitore che cerca sollievo, sostegno o comprensione dal proprio figlio appena nato).

L’intervento psicoterapeutico

Dopo aver classificato un fenomeno umano, è indispensabile cercare di capire quale significato abbia nella dinamica mentale e interpersonale e attribuirgli un senso affinché possa essere utile alla riflessione e al miglioramento di sé.

A cosa può servire a noi, specialisti della psiche, questa considerazione?

Credo che le riflessioni degli autori citati poco sopra siano di estremo valore per gli operatori della salute mentale e consiglierei a tutti i colleghi di continuare a porsi domande in questa direzione, rimanendo sempre vigili e ‘in ascolto’.

Si tratta di materiale estremamente prezioso, che, nella cornice dell’intervento psicoterapeutico ci permette di risalire alle generazioni precedenti a quella del paziente, tornando agli albori del trauma, per cercarne le origini, trovare la risoluzione dell’enigmatico disagio attuale e bloccare la ‘coazione a ripetere’ (Freud, 1920) che tiene in vita il trauma.

Una costante riflessione critica e costruttiva, rappresenta, a mio avviso, una risorsa essenziale nel lavoro psicologico: di seguito alcuni spunti utili all’attività terapeutica.

  • Conosciamo quali siano i ‘compiti’ del terapeuta, primo fra tutti l’ascolto empatico. Questo ascolto deve mantenersi sempre profondo, intenso, sincero e sintonizzato sulla tipologia di paziente con il quale si sta lavorando. Nei casi di pazienti di area borderline o psicotica, il terapeuta deve saper cogliere soprattutto ‘il non detto’, l’aspetto non-verbale della comunicazione (Russo, 2013). Dobbiamo essere in grado di ‘sentire le parole’, secondo le suggestive raccomandazioni di Mauro Mancia (2005), andando oltre la superficie e al di là della sintomatologia offerta dal disagio del paziente e provare, invece, a indagare le primissime fasi dell’esistenza dell’individuo, tendendo l’orecchio verso il suo vissuto nei confronti delle figure di accudimento all’inizio della sua esistenza: questo ci aiuterà anche a formulare delle ipotesi sul tipo di attaccamento che queste figure hanno instaurato col paziente in età evolutiva e sull’eventuale trauma evolutivo;
  • poiché stiamo trattando anche di età evolutiva, la conoscenza delle possibili conseguenze di attaccamento, accudimento e prime relazioni significative, può darci uno straordinario aiuto nell’osservazione e nel lavoro con bambini e adolescenti. Coltivare in noi terapeuti questa sensibilità può aiutarci a rintracciare traumi e microtraumi allo scopo di intervenire precocemente in modo che non vengano a formarsi e a instaurarsi ‘cisti psichiche’, cioè sacche di elementi psichici non elaborabili da parte dell’individuo;
  • sondare i primi anni di vita del paziente può risultare utile non solamente al paziente, ma può rappresentare una fondamentale risorsa anche nell’esperienza genitoriale del paziente stesso. La consapevolezza di essere ‘portatore’ di un tipo di attaccamento, della patogenicità di alcuni eventi accaduti nella propria esperienza di bambino, possono prevenire e preservare l’infanzia di ‘chi verrà dopo’ e aiutare a mentalizzare alcune esperienze al fine di non ripeterle in modalità inconscia;
  • non potevo non riferirmi anche alla figura del terapeuta: l’analisi personale, di fronte ai concetti finora descritti, può far luce sulla nostra psiche, la nostra infanzia, il nostro poter essere davvero in contatto con la mente del paziente e la sua esperienza di vita. Far emergere e saper accogliere il dolore di una persona costituisce gran parte del nostro lavoro terapeutico.

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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Bibliografia

  • Bowlby, J. (1999) Attaccamento e perdita, Bollati Boringhieri, Torino.
  • Caretti, Craparo, a cura di (2008) Trauma e psicopatologia. Un approccio evolutivo-relazionale. Astrolabio, Roma.
  • Ellenberger H. F. (1976) La scoperta dell’inconscio, Bollati Boringhieri, Torino.
  • Freud S. (1895) Studi sull’isteria, in Opere, volume I, Bollati Boringhieri, Torino.
  • Freud S. (1898) Lettere a Wilhelm Fliess, 1887-1904, Boringhieri, Torino, 1986.
  • Freud S. (1920) Al di là del principio di piacere, in Opere, volume IX, Bollati Boringhieri, Torino.
  • Janet P. (1889) L’Automatisme psychologique, Alcan, Parigi.
  • Joseph B. (1991) Equilibrio e cambiamento psichico, Raffaello Cortina, Milano.
  • Kahn M.M.R. (1974) Lo spazio privato del sé, Boringhieri, Torino, 1979.
  • Kalsched D. (1996) Il mondo interiore del trauma, Moretti & Vitali, Bergamo, 2001.
  • Langeland, Olff (2008) “Psychobiology of posttraumatic stress disorder in pediatric injury patiens: A review of literature”, Neurosciense and Biobehavioral Reviews, n.2, pp. 161-174.
  • Laplanche J., Pontalis J.-B. (1993) Enciclopedia della psicoanalisi, Economica Laterza, Bari.
  • Mancia M. (2005) Sentire le parole, Bollati Boringhieri, Torino.
  • Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), V edizione, American Psychiatric Association, 2013.
  • Putnam F. W. (2001) La dissociazione nei bambini e negli adolescenti: una prospettiva evolutiva, Astrolabio, Roma, 2005.
  • Rank O. (1924) Il trauma della nascita, SugarCo, Milano, 1993.
  • Russo L. (2913) Esperienze. Corpo, visione, parola nel lavoro psicoanalitico, Borla, Roma.
  • Schore A. N. (2002) “Dysregulation of the right brain: a fundamental mechanism of traumatic attachment and the psychopathogenesis of posttraumatic stress disorder”, in Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, n. 36, pp. 9-30.
  • Spitz R. (1958) Il primo anno di vita del bambino, Giunti, Roma
  • Van der Kolk B. A., McFarlane A. C., Weisaeth L. (2005) Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili, Ma.Gi., Roma
  • Young W.C. (1988) “Psychodynamics and dissociation: All that switches is not split”, in Dissociation, n.1, pp 33-38.

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