Un cuore in inverno
Un cuore in inverno (1992, regia di Claude Sautet)
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma)
I due soci sembrano completarsi a vicenda: Maxime è un uomo dinamico, spigliato e seducente, Stéphane un umbratile artigiano dedito al dettaglio, impeccabile “medico” degli strumenti musicali che “cura” con devozione e sacralità. La vita scorre sempre uguale, ma quando all’orizzonte compare la splendida e talentuosa Camille, qualcosa tra i due uomini si rompe irrimediabilmente.
Un cuore in inverno (1992, regia di Claude Sautet) con Daniel Auteuil, Emmanuelle Béart, André Dussollier, Maurice Garrel. Film vincitore del Leone d’argento alla 49° edizione della Mostra di Venezia.
Ispirato ad una novella di Lermontov (1840), il film dipinge la complessa relazione “amicale” tra Stéphane e Maxime, e si sofferma sulla complessa personalità del primo.
Un cuore in inverno: I due soci
Stéphane e Maxime si conoscono dai tempi del conservatorio: dopo aver abbandonato il percorso di musicisti, hanno entrambi virato verso un mestiere diversamente musicale, quello del liutaio, al quale lavorano quotidianamente gomito a gomito.
Maxime è dinamico, procaccia e accattiva la clientela, ama mostrarsi ed essere visto, è spigliato e seducente: Stéphane è sempre nell’ombra, un artigiano dedito al dettaglio, l’impeccabile medico degli strumenti musicali che “cura” con devozione e sacralità. I due soci sembrano completarsi a vicenda e paiono amici.
Maxime è un uomo intelligente, socialmente brillante: è sposato ma non disdegna di lasciarsi andare a scorribande con altre donne, delle quali racconta con piacere a Stéphane.
Quest’ultimo, al contrario del socio, ascolta le di lui avventure sentimentali, è un uomo umbratile, laconico per definizione, introverso, esageratamente sobrio, praticamente privo di affetti (a parte un’amica, quasi sorella, per lui): Stéphane è talmente chiuso nel suo mondo e così votato al mestiere di liutaio che ha addirittura deciso di abitare in un piccolo spazio ricavato all’interno del medesimo laboratorio. Non c’è vita, al di fuori del lavoro.
Tutto sembra scorrere sempre nel medesimo modo, la vita appaga rumorosamente l’uno e lascia sempre in penombra l’altro e le sue glorie professionali, fino a quando Maxime incontra la bellissima e intraprendente Camille, violinista emergente, un talento musicale; con Camille, Maxime inizia prima un rapporto clandestino, poi decide di rompere il legame di sola apparenza con la moglie per dedicare tutto se stesso a questo fresco, inebriante rapporto amoroso.
Camille è molto più giovane di lui, e questa differenza d’età, come spesso accade, sembra rinvigorire il maturo Maxime.
La musicista: l’inquietudine, la passionalità
Camille è giovane, bella, libera, vivace, ammiratissima; ha una manager che la incoraggia nei momenti di sconforto, la ospita in casa propria e sembra nutrire un affetto saffico nei suoi riguardi. Anche uno dei musicisti del trio con il quale suona Camille si è invaghito di lei.
La violinista è uno spirito palpitante, adora le luci del palcoscenico, non teme confronti e non si sottrae a durissime sessioni di registrazioni; sinuosa e desiderabile, è una donna intelligente e determinata, capace di sottoporsi a prove estenuanti senza sosta sotto gli occhi ammirati di tutti i suoi fan, ha come un alone di seducente ieraticità che la accompagna e la rende invidiabile.
Camille non può lasciare indifferente chi la incontra: nemmeno Stéphane può restarne immune. Ben presto, infatti, Camille si accorge di aver attirato anche le sue attenzioni. La musicista si incuriosisce di fronte agli schivi sguardi che riceve dal socio del suo nuovo partner, tant’è che quando suona in presenza di Stéphane, inizia ad avere piccoli, inaspettati cedimenti, confonde qualche nota e ne salta qualcun’altra, … le emozioni irrompono dentro di lei, creando insoliti cortocircuiti: nella sua vita, ufficialmente, è presente un uomo ma lei sembra piano piano scoprire di desiderarne un altro.
Camille e Stéphane
Nonostante il nuovo, ufficiale legame con Maxime, tra Camille e Stéphane ha inizio un’intesa particolare, un amor cortese fatto di sguardi, tenere sorprese, parole dette a mezza bocca, promesse mai pronunciate, allusioni, sottintesi, una sottile e delicata seduzione che mai si fa carnale.
Camille comincia pian piano a scalpitare, non può più reprimere il desiderio verso di lui, si sente improvvisamente infelice e, quando suona, lo fa solo per dare piacere a Stéphane.
Un giorno Maxime, cosciente del cambiamento di rotta di Camille, si allontana dalla città per lavoro: sembra, così, realizzarsi l’occasione propizia per un incontro clandestino, così tanto atteso. Dopo un’esibizione pubblica, Camille ignora smaccatamente tutto il pubblico che ha deliziato con le sue note, si accosta solo a Stéphane e gli chiede spudoratamente di portarla a bere qualcosa fuori, pregustando di potersi finalmente concedere al desiderio così vivo e irresistibile, in lei, convinta di realizzare il desiderio di entrambi …
Lo spettatore si proietta in un futuro vicino e apparentemente scontato, li vede già insieme, immagina la passione, il doppio tradimento, amoroso e amicale – anche triplo, vista la dimensione professionale condivisa dai due uomini.
La doccia gelata: un cuore in inverno
Camille si sente finalmente libera di manifestare il suo desiderio per l’ombroso liutaio e pregusta un epilogo di passione, ma è costretta a confrontarsi con una realtà del tutto inaspettata: il rifiuto di Stéphane. La donna è tramortita, sconvolta, sembra una leonessa ferita: è stato tutto un sogno, un’illusione …? Com’è possibile che lei abbia frainteso, che sia tutto frutto di una sua fantasticheria? Ripensa in stato confusionale alle parole, ai gesti, agli sguardi che ci sono stati tra loro. Camille arriva a dichiararsi a Stéphane apertamente, ma il rifiuto di lui si fa verbo, un verbo duro che produce come un tonfo, sembra una martellata contro le ossa. L’uomo nega tutto: non è attratto da lei, non ne è innamorato e non è nemmeno amico di Maxime, che per lui sembra essere degradato al ruolo di socio e nient’altro. Lo choc per la donna è cocente e inaccettabile.
Camille, dapprima incredula, tenta poi di convincerlo che lo accetterà in tutte le sue fragilità, lo rassicura che lo desidera così com’è e che non lo vorrebbe diverso.
Quando inizia a intravvedere il muro che l’uomo ha repentinamente innalzato tra loro, si fa follemente rabbiosa e dopo una ubriacatura, piomba a sorpresa nel ristorante in cui Stéphane sta cenando con la sua (unica) amica e lo umilia di fronte a tutti, gli sputa in faccia la ferita a morte che lui le ha inferto, lo definisce un codardo, un essere privo di attributi. Anche qui, l’uomo sembra inerte, lievemente sorpreso ma estraneo ai fatti e alieno alle passioni: la guarda ammutolito, non replica, subisce e rimane nel locale.
Una fragile armonia s’infrange
La violinista turba e “perturba” il particolarissimo rapporto che esisteva fino a quel momento tra Stéphane e Maxime: un gioco di pesi, a ben vedere, molto fragile, che si è sempre nutrito di conflitto, invidia, onnipotenza, svalutazione. Si rompe quell’equilibrio in alcuni suoi aspetti insano, che però aveva costruito un legame tra i due uomini e che soddisfaceva le esigenze di entrambi: quelle di Maxime, “vero maschio” in ogni situazione, padre onnipotente che attrae a sé tutte le donne senza lasciarne alcuna al figlio-Stéphane, e quelle di Stéphane, vittima di un apparente complesso edipico irrisolto in cui pare vivo e intollerabile il dolore per la “castrazione” subita.
La presenza di una donna che da Maxime passa a preferire Stéphane sembra come risolvere magicamente questa “evirazione”, restituire l’illusione di potere al bambino-Stéphane, garzone di bottega al quale le relazioni adulte risultano precluse, per qualche istante gli fa sentire il profumo dell’onnipotenza, gli fa assaporare il mondo degli adulti e il potere di far sprofondare il rivale nella rabbia svigorita della sua mascolinità.
La rottura che si dipana tra i due uomini, a ben vedere, svela lo squilibrio su cui era fondato il rapporto tra loro, un legame fatto di sentimenti repressi, tra i quali l’invidia e la rivalità: le taglienti parole di Stéphane, quel suo negare un rapporto amicale tra lui e Maxime, forse sono il frutto di un moto di sincerità, tra i due uomini era nato e continuava ad esistere un legame nutrito da comodità, profitto economico – sociale, abitudine e interessi reciproci. Paradossalmente, solo ora che tutto è distrutto può emergere questa scomoda ma autentica verità.
Narcisismi a confronto
Stéphane sembra per qualche istante poter realizzare la sua personale “rivoluzione”, pare essere in grado di “superare” il suo particolare complesso edipico: riesce ad oltrepassare con coraggio, quasi incredulo, il suo eterno rivale, il “padre – Maxime”, la minaccia vivente del suo essere uomo e giunge a sedurne la donna tanto desiderata … ma quando la donna – trofeo gli si para davanti per portare a compimento la simbolica premiazione, Stéphane si ritrae, esce dall’agone, retrocede, si percepisce in tutta la sua piccolezza, molla i remi in barca, cancella tutti i risultati precedenti, per tornare alla fase zero.
Il rifiuto di Stéphane non genera sofferenza solo nell’animo di Camille ma punisce ed evira in primis Stéphane, e questo castigo autoinflitto lo relega nuovamente in quel mondo infantile, fatto di fantasie irraggiungibili e ideali, lontano anni luce dalla vita degli adulti, dalle loro passioni carnali, dal piacere e … dal dolore.
Quando stava iniziando a percepire i primi profumi di una primavera odorosa e travolgente, ecco che Edipo torna indietro ai suoi affetti platonici, al suo cuore ibernato scolpito nel ghiaccio, tanto freddo ma così familiare, quasi confortevole … Stéphane si chiude dietro un simbolico portone blindato per regredire, nell’illusione di poter schivare responsabilità, confronto, sofferenza, delusione, paura: ripudia Camille, rifiuta di immergersi nella dimensione dell’amore, si sacrifica e si immola nel tentativo di conservare intatto questo sentimento così puro ma pericolosamente sconvolgente.
L’uomo abbassa la testa e torna a vivere di solo lavoro, annichilendosi e deprivandosi della possibilità di accedere al mondo dei sentimenti, dell’umanità, senza poter raggiungere un’identità matura, autenticamente virile.
Camille, animale ferito, fa ritorno da Maxime, padre buono che la riaccoglie nel tepore del suo abbraccio comprensivo e indulgente, lecca le ferite di lei e la perdona, fingendo a se stesso di non essere un ripiego; il narcisismo di Maxime ha subito un duro e doppio colpo, appare più scialbo e silenzioso che mai, umiliato e pugnalato alle spalle dagli affetti che riteneva i più cari. Le bende tentano di coprire una ferita, di comprimere una mescolanza di sentimenti dolorosi, scomodi, ma la cicatrice resta all’interno di ciascuno di loro e non può essere nascosta fino in fondo.
La morte improvvisa del suo ammirato ma anziano mentore, personaggio minore del film ma presente in alcuni momenti topici, fa comprendere a Stéphane che, in realtà, aveva amato Camille.
Nelle ultime interazioni tra la donna e Stéphane trapela un debole pentimento da parte di lui, un’accennata, vaga confessione, una sorta di spiegazione relativa ai suoi sentimenti e al suo stato d’animo: “Io so che non sono niente, amo il mio lavoro e lo faccio bene … ma c’è qualcosa dentro di me che non vive … ho fallito con te e ho perso Maxime … mi rendo conto che non sono gli altri che distruggo ma me stesso … dovevo dirtelo”. Uno sfogo fine a se stesso, utile solamente a chi lo produce, perché Camille, dopo averlo ascoltato, si raggela e con distacco lo accompagna fuori dalla sua vita.
Questa panoramica del mondo interiore di Stéphane e la sua lucida consapevolezza hanno svuotato lei, questa volta: la donna è atterrita, sente quel gelo nel quale vive quotidianamente lui, forse da sempre e lo respinge. La vita continua, Camille prosegue la carriera, viaggia, si esibisce, sopravvive al ricucito e zoppicantissimo rapporto con il compagno ma delusione, amarezza e malinconia rimangono dipinte negli occhi di Emmanuelle Béart nell’ultimissima scena del film, quando sale nell’auto di Maxime e scompare dalla vista (e dalla vita) di Stéphane.
Le seducenti e conturbanti note di Ravel riescono a tradurre e a trasmettere parte di quei sotterranei, pericolosi affetti che solo la musica sa fare, quella musica – consolazione, musica – espiazione così tanto cara a Stéphane.
Il video del film è disponibile a questo link:
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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