La resilienza nella disabilità (e non solo!)
Qualche giorno fa mi sono imbattuta per caso, in un bar, in un ragazzo ungherese sordo: abbiamo scambiato due chiacchiere in una lingua dei segni per me un po’ arrugginita… ma me la sono cavata.
Questo incontro mi ha fatto tornare alla mente alcune sensazioni e riflessioni sul mondo delle persone disabili che vorrei condividere in questo spazio.

Il mio lavoro nel mondo della disabilità
Per diversi anni mi sono occupata di persone con disabilità sensoriali e di materiale didattico per lo studio e l’apprendimento della Lingua dei Segni (LIS)
Ho lavorato all’interno di associazioni che si occupavano di integrazione di studenti con deficit uditivo e visivo, in alcune scuole romane affianco a studenti sordi, ciechi o pluridisabili e sono stata interprete di lingua dei segni tattile in un centro diurno per persone sordocieche.
La mia curiosità era nata a fine anni Novanta, grazie alla lettura di un libro del neurologo e scrittore statunitense Oliver Sacks, intitolato Vedere voci interamente dedicato ai sordi e all’incredibile esperienza di Martha’s Vineyard, isola del Massachusetts, dove la sordità è molto diffusa e la maggioranza delle persone conosce e utilizza la lingua dei segni americana (American Sign Language) per comunicare.
Sull’isola questa lingua è molto utilizzata anche tra persone udenti proprio per la grande diffusione del deficit uditivo nella popolazione.
Decisi, quindi, di informarmi sulla possibilità di frequentare un corso di LIS presso l’istituto dei sordi di via Nomentana, menzionato nel libro di Sacks, e così iniziai il mio viaggio nella lingua dei segni.
Sordità e cecità
Dopo numerosi anni nel mondo della sordità, ho deciso di esplorare un’altra tipologia di disabilità sensoriale: quella visiva.
Ho vinto una borsa di studio per un corso regionale e dopo averlo frequentato sono diventata tiflodidatta: questo mi ha permesso, come fu nel caso del corso di LIS, di lavorare a scuola con ragazzi con questo tipo di disabilità.

Inoltre, sempre all’interno del medesimo istituto dove avevo frequentato il corso di tiflodidatta, ho scoperto che esisteva un centro diurno dove potevo mettere a frutto la lingua dei segni nella sua modalità “tattile” per entrare in comunicazione con le persone sordocieche e fungere da interprete durante le attività del centro.
Piccola notazione
Utilizzo il termine “sordi” per riferirmi alle persone con disabilità uditiva e “non vedenti” quando scrivo o parlo delle persone con disabilità visiva e non è un fatto casuale.
Il mondo dei sordi è fortemente caratterizzato da un’identità molto netta e strutturata: la comunità sorda si sente di potersi definire tale, appunto, “sorda”, perché rivendica un’identità colta nella sua dimensione “positiva”, affermativa piuttosto che essere un “non” qualcosa, un sottolineare una mancanza, una deviazione dalla norma.
Il mondo dei non vedenti, invece, non è connotato in questo senso e quindi preferisco utilizzare il termine “non vedenti”, anche perché è la parola che ho più frequentemente sentito utilizzare dalla stessa comunità.
Immersioni in mondi sconosciuti
Immergermi nel mondo delle disabilità sensoriali è stata un’esperienza indimenticabile che mi ha regalato tanta ricchezza e ha affinato la mia sensibilità.
Non lo avrei mai immaginato ma ho imparato a “sentire” con gli occhi e a “vedere” con le orecchie!
Poter comunicare tramite l’uso delle mani, nel caso dei sordi, e con la voce e le sue mille sfumature, nel caso delle persone non vedenti, è qualcosa di incredibile, un esperimento … carico di vitalità incontenibile e contagiosa!
Oltre alla “meraviglia” che si prova nell’entrare in questi mondi diversamente sensoriali, mi vorrei soffermare su un aspetto che mi ha sempre molto colpita: la grandissima capacità di essere resilienti di molte persone con questo tipo di impairment. Provo a spiegarlo nel prossimo paragrafo.
Disabilità e resilienza
Mai come tra le persone con disabilità ho trovato così tanta resilienza, cioè la capacità di far fronte ad una situazione difficile (a volte profondamente traumatica) e a “superarla”.
Naturalmente ho anche incontrato individui che si sono ritrovati nell’impossibilità di accettare gravi disabilità – situazioni assai complesse e difficili da elaborare – ma nella mia esperienza ho potuto conoscere soprattutto persone resistenti, capaci di non farsi abbattere dalle loro condizioni (spesso anche molto invalidanti) e di procedere avanti, nelle loro vite, con fiducia e curiosità.
Il fatto più sorprendente è che le persone più resilienti di tutte le ho incontrate nella pluridisabilità sensoriale, nello specifico, quando ho lavorato con le persone sordocieche.

Le persone sordocieche e il loro stimolante esempio
La sordocecità è una condizione non così rara: si può nascere sordi (per un fattore ereditario) e diventare ciechi (ad esempio a causa di un diabete trascurato), oppure nascere ciechi e diventare via via sordi (esistono anche patologie che hanno questo tipo di decorso), o anche diventare sordociechi in età adolescenziale o adulta a causa di altre patologie o incidenti (ad esempio: incidenti stradali, patologie come la sindrome di Usher).
Molte delle persone che ho avuto l’opportunità di conoscere erano avanti con l’età o di mezza età e per svolgere attività semplici quali, ad esempio, andare a fare la spesa o dal medico di base, avevano bisogno di essere accompagnate (il classico “bastone” o il cane, non erano loro sufficienti per rendersi autonome).
Per poter conoscere le notizie avevano bisogno di ausili informatici specifici e di saperli utilizzare. Spesso erano persone sole, isolate o vivevano ricoverate all’interno di istituti.
La loro voglia di fare, di vivere
Ciò che di loro mi ha sempre molto piacevolmente sorpresa è che si trattava di persone che, nonostante tutto, non avevano perso la gioia di vivere, di conoscere, di curiosare nel mondo, di dare il loro parere su tante questioni.
Non solo erano abilissime nell’uso delle tecnologie: erano anche interessate ad informarsi sugli accadimenti nel mondo, a conoscere i fatti storici, la geografia terrestre, a dibattere su temi di attualità, a comunicare con il mondo tramite SMS o e-mail.
Il loro desiderio di autonomia era così intenso che la maggior parte di queste persone era in grado di gestire la quasi totalità delle incombenze casalinghe: alcuni uomini, addirittura, nonostante la doppia disabilità, l’anzianità e il gene Y (!) erano in grado di stirarsi gli indumenti da soli!
E desideravano anche conoscere noi interpreti: ci chiedevano come stessimo, quali fossero le nostre attività lavorative principali, se fossimo single o meno, che cosa avremmo fatto durante le feste comandate. Restavano vive, nonostante le inevitabili “chiusure” verso il mondo che le loro condizioni imponevano loro.
Non mi è mai arrivata una sola volta infelicità, rabbia, senso di impotenza da parte loro. Forse sono stata fortunata, nel conoscere questa fetta di persone, ma non potrò mai dimenticare tutta la loro dignità, la forte “presenza” durante gli incontri, l’ironia e le risate che erano in grado di farsi e di farci fare, in alcuni frangenti.

In conclusione
Quando ci si aspetterebbe di trovarsi di fronte alla più assoluta e inconsolabile infelicità, quando ci si immagina pluridisabili e profondamente depressi per questa condizione, ecco che invece si viene inesorabilmente smentiti dal dato di fatto che sì, è possibile superare certe gravi difficoltà e sì, è possibile vivere serenamente, nonostante tutto.
Quando andavo via da quelle sessioni di lingua dei segni tattile, dopo aver tradotto e seguito con profondo interesse i dibattiti che avvenivano tra i vari utenti del centro diurno, non avrei mai immaginato di poter fare ritorno a casa con quella pace interiore e quella voglia di vivere che mi capitava sempre di avvertire, in quei momenti, quel senso di pienezza, il desiderio di potermi prendere anche io qualcosa e portarla nella mia vita privata.
Li avrei voluti ringraziare. Forse l’ho già fatto, senza rendermene conto. Quando andavo via da quell’ambiente umano, mi portavo “via” un mondo di preziose scoperte, tante nuove consapevolezze che hanno solo potuto migliorarmi come persona e come specialista della salute mentale.
In conclusione, credo che chi è “diverso” da noi sia spesso nelle condizioni di dare molto a chi è “normo” (i “normodotati”), e che questa ricchezza sia qualcosa di inatteso ma anche di molto speciale, da tenere dentro di sé e “coccolare”, soprattutto nei momenti di burrasca, di fronte ai maremoti che la vita, inevitabilmente, ci pone davanti.
Grazie di cuore.

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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