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Il perfezionismo (seconda parte)

Questo articolo costituisce la prosecuzione di un primo articolo che potete leggere cliccando qui.

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Le origini del perfezionismo

Nelle narrazioni dei soggetti perfezionisti sono assai frequentemente riportate esperienze di genitori manipolativi e invadenti (“intrusivi”, come vengono definiti in ambito psicologico). I caregiver dei perfezionisti, di solito, sono stati individui che hanno usato il controllo psicologico e l’amore “condizionato” come strategie educative.

L’amore “condizionato”

L’amore “condizionato” è quello specifico affetto nel quale si viene “amati” solo a certe condizioni: “se fai la bravo, se sei silenzioso, se non crei problemi, se non manifesti le tue esigenze, se realizzi le aspirazioni che mi aspetto da te, io ti amerò”.
Quante volte capita di riscontrare questo tipo di dinamiche, nelle storie di vita delle persone che chiedono un sostegno psicologico!

In questo tipo di “amore,” l’affetto è una variabile che dipende dal comportamento dell’altro (che in questi casi è un bambino ma questa dinamica può anche verificarsi in una relazione sentimentale): se l’altro trasgredisce alla regola, l’amore non è più garantito.

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Gli psicologi del Sé (Kohut, Kernberg) pongono l’accento sul fatto che il perfezionismo si sviluppa in condizioni di scarsa corrispondenza tra bisogni del bambino e risposte delle figure genitoriali.

Per poter essere “visto”, per essere amato, il bambino cerca di essere “perfetto” agli occhi dei genitori, inseguendo standard irrealistici e sempre mortificanti.

Anche in questo caso, l’amore (sempre che di amore si tratti), come abbiamo già accennato poco sopra, dipende dal fatto che il figlio soddisfi o meno certe aspettative o richieste genitoriali.

I bisogni nei primi anni di vita di un individuo

Durante i primi anni di vita, un bambino ha necessità che alcuni bisogni fondamentali, per una sua crescita armonica e serena, vengano soddisfatti.

I bisogni in questione sono, ad esempio, quello di “sicurezza”, il bisogno di appartenenza, di stima, il bisogno di sentirsi amato e desiderato.

Quando queste esigenze vengono precocemente frustrate, il bambino cresce con un senso di insicurezza, incompletezza, inadeguatezza. Ciò non significa, automaticamente, che diventerà un adulto problematico.

Se, ad esempio, nel percorso di crescita, dovesse incontrare un adulto incoraggiante che possa fungere da “base sicura” (Bowlby) per lui, le cose potrebbero andare diversamente, anche molto diversamente.

foto di Jupilu

Di conseguenza, quando sbaglia, anche in altri ambiti della vita, il bambino sente di aver fallito e questo fallimento va a minare il legame con la figura di riferimento: ciò può avere delle importanti ripercussioni a livello di senso di Sé del piccolo e rischia di minare la sua autostima.

L’errore non viene interpretato come un accadimento normale nella vita di tutti quanti noi, ma un devastante, irreparabile sbaglio che porta giù con sé tutto.

Tutto ciò può comportare lo svilupparsi di tendenze all’ansia e alla depressione che, in età adulta, potrebbero minacciare in modo anche compromettente il rapporto dell’individuo con se stesso e, di conseguenza, con gli altri, producendo in molti casi sindromi ansiose e depressive.

Ancora sulla definizione generica

Se continuiamo a restare sulla definizione generica e, nello specifico, sui termini “perfezione” e “ideale” che sono presenti proprio nelle definizioni di cui sopra, ci renderemo conto che siamo di fronte a concetti che indicano qualcosa di irraggiungibile, di impossibile – quanto meno per questo mondo terreno.

La perfezione, appunto, è uno stato di completezza che ha a che fare con la divinità, l’etica, l’ontologia ma non è prerogativa umana.

L’ideale è un concetto che può guidarci nelle scelte e nei pensieri ma non si fonda sulla realtà: possiamo essere guidati da un’ideale di lealtà, ma nella vita reale capita anche di non poter o non voler essere leali.

Dunque? Voler essere perfezionisti ha a che fare con l’impossibile, nel mondo in cui ci troviamo a vivere. E se “proviamo” ad essere perfetti, a rincorrere questo ideale, ci scontriamo inevitabilmente con delusione, infelicità, insoddisfazione.

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Cosa fare?!?

Uno dei quesiti che maggiormente affliggono noi psicoterapeuti e che deriva dai pazienti è il seguente: “cosa posso fare per affrontare/superare/eliminare questa tendenza”?

Ne siamo afflitti perché, come sappiamo, nessuno di noi esseri umani è provvisto di palla di vetro o lampada di Aladino: la “ricetta per la felicità”, il segreto per risolvere le proprie questioni psicologiche non esiste da nessuna parte, così come qualcuno, invece, si potrebbe aspettare (visione idealizzata degli psicoterapeuti?).

I tratti di personalità non si cambiano come gli abiti e il lavoro psicoterapeutico può essere anche molto faticoso ma partire da una semplice riflessione come “la perfezione non esiste” può essere un adagio per nulla banale sul quale soffermarsi a riflettere, in psicoterapia.

Se non esiste essere perfetto, è del tutto improduttivo inseguire questo obbiettivo: ma tra il dire e il fare, si sa, c’è di mezzo il mare.

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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Bibliografia consigliata

Burns D. (1980) “The perfectionist’s script for self-defeat”, Psychology Today, November, 34–52.

Foglia L., Calluso C. (2022) “Il perfezionismo nei disturbi di personalità come fattore transdiagnostico, trattamenti specifici e difficoltà di trattamento”, in Cognitivismo clinico, 19, ½, 81-106

Frost, R. O., Marten, P., Lahart, C. M., & Rosenblate, R. (1990) “The dimensions of perfectionism”, Cognitive Therapy and Research, 74, 449–468

Hamacheck, D. E. (1978) Psychodynamics of normal and neurotic perfectionism, Psychology, 15, 27-33

Horney K. (1950) Neurosis and human growth: The struggle toward self-realization, New York, NY: Norton

Neff K. (2019) La self-compassion. Il potere dell’essere gentili con se stessi, Franco Angeli, Milano

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